Uva da vino

La vitis vinifera

Il vino come tutti sappiamo proviene dalla fermentazione dei frutti della Vitis vinifera nota a tutti come vite, antica pianta originaria del Caucaso e presente in Europa fin dalla fine del Neolitico. Attualmente vi sono al mondo circa 10.000 diverse qualità di viti, ma non tutte sono utilizzate per il vino. Queste coltivazioni occupano una superficie totale di 8 milioni di ettari che vengono usate sia per il consumo fresco da tavola che per la vinificazione. Per quest'ultimo scopo si pensa che le varietà più impiegate siano circa un migliaio in tutto il mondo, di cui una ventina occupano un ruolo predominante mentre le altre hanno notorietà più che altro nazionale o regionale, senza per questo essere inferiori in qualità. Questa grande varietà nelle uve si deve all'antica domesticazione della vite che viene datata intorno al 6000 avanti Cristo dalla Vitis sylvestris, l'antica vite selvatica da cui discendono tutte le varietà oggi esistenti, mutate sia spontaneamente che per incroci determinati dall'uomo. La vite domestica venne individuata poi nel 3000 avanti Cristo in Giordania, nell'odierno Iraq e in Egitto per raggiungere due secoli piu tardi tutto il bacino del mediterraneo meridionale e in seguito l'Europa grazie ai vari popoli che si susseguirono in Italia e in Grecia.

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Le uve moderne

Molte di queste varietà sono mutazioni naturali della pianta, che tende ad adattarsi perfettamente ai vari climi e ad incrociarsi anche con diverse specie della stessa famiglia. Oggi le possibilità di analisi hanno conquistato anche l'enologia, capace di stabilire con certezza la genetica delle varie varietà. I vari test ad esempio hanno dimostrato come lo Chardonnay sia un incrocio naturale tra altre due viti della Borgogna, il Gouais Blanc e il Pinot. I test del DNA stanno divenendo sempre più frequenti per conoscere meglio questa preziosa pianta. Hanno permesso ad esempio di confermare con certezza quello che era un sospetto nemmeno tanto velato da molto tempo sul famoso Zinfadel californiano, nient'altro che il Primitivo pugliese, importato negli Stati Uniti alla fine dell'Ottocento. La storia narrava che durante il viaggio furono perse le etichette delle talee, e che la somiglianza tra i due vitigni non lasciavano dubbi. Un lungo studio a questo proposito è stato fatto dall'equipe dello studioso Sean Myles e comparso sulla famosa rivista PNAS (Proceedings of the National Academy of Science), analizzando un migliaio di uve tra le più coltivate. Di tutte le varietà conservate in questa speciale collezione solo 583 di queste presentano sostanziali differenze genetiche, mentre la restante percentuale ha stretti legami di parentela, di fratellanza o paternità. Si può quindi stabilire che molte delle varietà conosciute oggi, appartengono ad una sola grande famiglia, in cui i vari “figli2 si adattano alle diverse condizioni del territorio quando introdotte dai luoghi d'origine. Almeno 83 varietà della collezione hanno una parentela di primo grado, mentre 384 varietà sono direttamente parenti. Il Merlot ad esempio è parente di primo grado con del Cabernet Franc, a sua volta imparentato con il Sauvignon Blanc per ottenere l'incrocio oggi conosciuto come il grande Cabernet Sauvignon. Un altro vitigno antichissimo, il grande Traminer ha almeno 20 parenti di primo grado come lo stesso Sauvignon, il Sylvaner e il grande Pinot nero. A questa grande famiglia si affianca una più piccola e indipendente, ben presente in Italia e nel mondo, quella dei Moscati, famosi per la dolcezza degli acini. Nella collezione vi sono 88 vitigni greci, antico fulcro della vinificazione, 60 francesi, 52 italiani e 33 addirittura russi.


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  • Malvasia del Lazio La Malvasia del Lazio è un vitigno a bacca bianca che, come è facile intuire, fa parte della famiglia della Malvasie, uno dei vitigni più antichi e anche coltivati in Europa e specialmente in Italia. ...

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Uva da vino: Le uve italiane

vermentino Le uve italiane meridionali e molte del Centro, come abbiamo potuto vedere in numerosi articoli, hanno spesso molte affinità con le uve greche, in quanto la colonizzazione che diete vita alla Magna Grecia nell'Italia del VII secolo avanti Cristo, diede un grande impulso alla viticoltura nella nostra penisola. Ma una delle grandi caratteristiche delle nostre uve è che raramente queste sono imparentate fra di loro, nemmeno quando a stretto contatto nello stesso territorio. Tutte le uve piemontesi ad esempio non sono parenti tra loro, come non lo sono le varie uve bianche del Centro.

Solo il Negro Amaro compare come un clone del Nebbiolo Dronero, rarissimo e antichissimo. Sempre il Negro Amaro ha gradi di parentela di primo grado con il Sangiovese come padre o figlio. Altro vitigno famoso con primi gradi di parentela è il Nerello calabrese, padre-figlio del Sultanina rosè e l'Uva di Troia, pugliese, con il croato Plavac Mali.

Le varietà italiane quindi, a differenza di quelle francesi, sviluppatesi molti secoli dopo, godono di un'identità propria, un'impronta culturale incancellabile e fortemente autonoma. Molto probabilmente questo si deve al fatto che dopo i primordi della domesticazione della vite, l'Italia fu il primo vero laboratorio antico da cui si sviluppò in seguito tutta l'enologia del mondo. Le uve italiane rappresentano quindi i vitigni di partenza trapiantati in tutta Europa e poi imparentati con i vitigni locali e le viti selvatiche.



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