Uva vino
La vitis vinifera è una pianta arborea rampicante probabilmente originaria della Cina, da dove poi si sarebbe diffusa verso occidente fino a raggiungere il bacino mediterraneo sicuramente verso il III o II millennio avanti Cristo, stando ai reperti fossili fino ad oggi trovati, anche se questo potrebbe significare poco, visto che si tratta di coltivazioni antropologiche anche se non impiantate come le intendiamo oggi. La sua diffusione allo stato selvatico non è databile, così come la sua origine. Per il momento sappiamo che i reperti archeologici e fossili di lavorazione delle uve più antichi finora rinvenuti sono del 5000 avanti Cristo circa nella Cina centro occidentale.
La pianta ebbe una discreta diffusione tra gli Assiri e poi tra gli Egizi, anche se la produzione di fermentati preferita tra queste civiltà era quella da cereali per la fermentazione della birra.
Fu con i Fenici e i popoli del Bacino di Levante, l'attuale Libano, Israele e Palestina, e con i Greci poi, che la vite come produttrice di vino divenne di rilevanza enorme sia per il consumo locale che per i commerci. In seguito i Romani, grazie al loro Impero e alla sviluppata rete viaria, ne faranno un fenomeno globale, esportando ed importando vino in tutto il mondo conosciuto, con la Gallia, attuale Francia, che divenne uno dei centri vinicoli romani più importanti, soprattutto nelle produzioni dell'attuale meridione francese.
Se Greci e Fenici diffusero la cultura del vino e della vite nel bacino del Mediterraneo, piantando le loro varietà nelle varie colonie e commerciandone il vino, i Romani ne fecero un autentico fenomeno di massa permettendo alla vite di colonizzare anche le zone settentrionali al di là delle Alpi. I Fenici impiantarono vigneti in Sardegna, Spagna e nord Africa, mentre i Greci colonizzarono il sud Italia, con Sicilia e Magna Grecia in generale, protagoniste di una abbondante produzione di vino. I Greci forse furono i primi a dedicare un dio al vino, e anche i primi a tentare di manipolare l'allevamento della vite con incroci, studi sulle potature e sulle varietà. Si può dire che con i Greci la pianta selvatica e semi-selvatica della vite subì l'addomesticamento antropologico che oggi conosciamo con metodi scientifici, chiaramente non quelli attuali ma rapportati alle conoscenze dell'epoca. Più dei Romani e dei Fenici, i Greci contribuirono a cominciare un lento miglioramento della specie e una selezione varietale non più affidata soltanto alla natura, ma all'intervento dell'uomo. I Romani, un popolo che sapeva bene assimilare le culture conquistate e sfruttarne le qualità, proseguirono egregiamente il lavoro dei Greci, fino a far divenire il vino uno dei prodotto alimentari più utilizzati e descritti. Successivamente, con la caduta dell'Impero, le coltivazioni della vite subirono un ridimensionamento per alcuni secoli durante il basso medioevo, a sud per la dominazione araba, la cui religione non vedeva di buon occhio il consumo di alcol anche se le usanze locali erano assolutamente tollerate, e come fattore generale anche per le popolazioni cristiane in tutta Europa la preferenza a coltivazioni più nutrienti e le continue piccole guerre che spaventavano e rendevano insicure le campagne.
Il testimone fu però preso dai vari ordini monastici sparsi in tutto il vecchio continente che si premurarono di coltivare e vinificare le uve. La situazione migliorò lentamente nel corso dei secoli, anche se al clero rimasero le redini della conoscenza tanto che tutti gli studi enologici rinascimentali e dei secoli precedenti il XVIII secolo sono stati compiuti da clericali, come Dom Pérignon, o da dipendenti laici della chiesa. Solo con il settecento e successivamente iniziarono i vedersi i grandi investitori privati, soprattutto in Francia, che spinti dall'ondata commerciale del mercantilismo anglosassone, iniziarono anche a produrre, e non solo a trafficare, il vino. Fu in questo secolo che vennero fondate le prime grandi
Maison della Champagne e del Bordolese, mentre l'Italia ed altre nazioni dovranno attendere il secolo successivo. La coltivazione della vite vinifera divenne così non più un fenomeno esclusivamente ad appannaggio delle Abazie, ma una vera e propria industria fiorente che diventerà altamente tecnologica e scientifica nel novecento.
La coltivazione dell'uva da vino oggi è molto diversa da quella arcaica dei primordi e anche da quella dell'ottocento. La scienza botanica e fenologica ha portato ad ulteriori approfondimenti di quelle che erano le conoscenze generali della pianta da parte dei contadini, conoscenze molto valide, tramandate per secoli di generazione in generazione, ma che oggi hanno l'ausilio di conoscenze specifiche a livello molecolare e l'aiuto di molte tecnologie, sia meccaniche che chimiche per la lavorazione e la coltivazione delle uve.
Oggi che l'uomo è entrato fin dentro le parti più piccole della materia, le uve, come tutte le coltivazioni in generale, hanno raggiunto produttività prima inimmaginabili, grazie a precise analisi sulla crescita e sulle tecniche di allevamento migliori per favorire la qualità degli acini. Nozioni fondamentali quale la giusta potatura o i giusti sali minerali sia nei dosaggi che nella tempistica, hanno permesso di trasformare il lavoro in vigna in qualcosa di altamente tecnologico seppur del tutto naturale e biologico, fatta eccezione per delle parentesi negative del secondo dopoguerra quando si diede largo spazio all'uso della chimica sintetica. Oggi si sta tornando verso un utilizzo di prodotti naturali, e la chimica viene sempre più intesa come lo studio, a livello molecolare, delle piante e la messa a punto di tecniche di allevamento e nutrizione bilanciate e favorevoli alla pianta a seconda delle sue necessita e delle diverse varietà.
Grazie all'industria meccanica inoltre, il lavoro in vigna è stato notevolmente alleggerito rispetto al passato grazie ai macchinari utili sia nella fase progettuale del vigneto, sia nella fase di raccolta. Ad eccezione di alcune varietà delicate e delle scelte di alcuni viticoltori, si possono risparmiare tempo e fatica con l'ausilio di macchinari abbastanza precisi in sostituzione dell'uomo.
La coltivazione, nei suoi aspetti fenologici, è divenuta una scienza esatta con lo studio approfondito del ciclo vegetativo della vite, dei nutrienti necessari nei vari periodi dell'anno e nei loro dosaggi, fino ad arrivare alla giusta valutazione dei frutti, una volta affidata all'esperienza tradizionale del viticoltore, e oggi invece valutabile con delle analisi accurate per stabilire esattamente la quantità di zuccheri o quella dell'acidità, oltre che tutte le sostanze organiche presenti nelle uve che poi andranno a formare la gamma gusto-olfattiva del vino.
Abbiamo già ampiamente trattato questi argomenti negli articoli dedicati al ciclo vegetativo o alle forme d'allevamento per esempio, ma vale la pena ricordare questi aspetti in linea generale per collegare tra loro i vari fattori, che sono tutti interconnessi e intimamente legati fra loro. Il vino nasce in vigna e muore quando bevuto, come dicono i francesi, e ogni passo deve essere ben preciso e studiato affinché ogni aspetto sia il miglior risultato possibile.
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La vitis vinifera comprende più di 800 varietà diverse di uva, alcune coltivate in tutto il mondo con estese superfici vitate, altre autoctone presenti solo in aree ristrette per produzioni locali.
La diffusione delle varietà, oltre a dipendere dalla qualità con cui influiranno sul vino, è dovuta soprattutto a motivi di
terroir, termine francese con cui si indicano le condizioni micro-climatiche, topografiche e geologiche in cui una varietà di uva viene allevata in un'area ristretta dalle caratteristiche simili.
Infatti delle 800 varietà presenti, ben poche sono quelle che riescono ad adattarsi a qualsiasi tipo di clima, suolo ed esposizione, e la maggior parte fornisce risultati molto diversi a seconda di questi fattori. Alcune sono talmente zonali da dare risultati eccelsi in una sola area, mentre nel resto del mondo forniscono qualità addirittura scadenti. È il caso ad esempio del Carignano, che nel Sulcis sardo produce vini di eccellente qualità, mentre nel resto del mondo il suo impiego rimane un grande punto interrogativo.
Le grandi varietà nobili, Pinot Noir, Cabernet Sauvignon, Merlot, Nebbiolo, Sangiovese per i rossi e Chardonnay, Sylvaner, Riesling, Gewurztraminer, Sauvignon per i bianchi, sono certamente le più coltivate, ma hanno adattamenti diversi a seconda di clima e geologia del territorio.
Ad esempio il Cabernet Sauvignon poco sopporta il freddo e l'umidità salvo dove le condizioni sono temperate. È infatti assente in Borgogna e nella Francia settentrionale ma è la base dell'assemblaggio nel Bordolese e in molti vini del centro Italia. Il Pinot invece è un'uva piu propensa ai climi freddi ed umidi, infatti è una delle varietà principali in Borgogna e nel nord est italiano, ma è totalmente assente nel Bordolese e a sud dell'Emilia Romagna. I rendimenti nei climi caldi per il Pinot sono infatti scarsi per tutta una serie di fattori già ampiamente analizzati, e poco vale la qualità dei risultati nella Borgogna o in Friuli se la varietà non riesce ad adattarsi agli altri climi.
Lo Chardonnay è più propenso al freddo, anche se viene ben coltivato anche in climi più caldi, ma relativamente umidi. In Sud Africa è stato provato con successo anche in un assemblaggio mai ipotizzato prima a causa delle diverse caratteristiche incompatibili che ha nelle altre zone con il Sauvignon.
La scelta varietale quindi deve adattarsi al terroir e non deve, come accaduto in passato, essere dettata da mode e tendenze commerciali, anzi, la varietà deve rispettare l'autoctonia della zona e identificarsi con essa per fornire i migliori risultati. Alcune varietà infatti rispecchiano totalmente quello che è il territorio. Basti pensare ad alcune uve piantate solo in zone determinate, con risultati esaltanti, come il Savignin della Jura francese, che solo in questa area riesce ad esprimere quei vini così particolari come i Vin Jaune.
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